Aveva Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città:
cartelli, semafori, vetrine (…) mai fermavano il suo sguardo
che pareva scorrere sulle sabbie del deserto.
Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo,
una piuma che si impigliasse a una tegola non gli sfuggivano mai.
(Italo Calvino, Marcovaldo, 1963)
Marcovaldo è un personaggio che ci parla dell’infanzia, della sua capacità di vedere ciò che gli adulti non vedono più, di scorgere la natura anche dove pare scomparsa. È uno sguardo bambino, il suo, uno sguardo che riconosce il vivente anche tra l’asfalto e il cemento.
Ed è da questo sguardo che parte la nostra riflessione sull’outdoor education in ambiente urbano, cercando un equilibrio possibile — e auspicabile — tra ciò che accade dentro e ciò che accade fuori dei nostri nidi e scuole.
L’educazione all’aperto nella città: la natura a ogni angolo
In molte narrazioni, l’Outdoor Education è associata agli spazi incontaminati, ai boschi, ai prati, alle escursioni nei luoghi “altri” rispetto al quotidiano. Ma anche la città educa, se sappiamo coglierla. Anche tra marciapiedi e palazzi si nascondono semi di natura, occasioni di stupore e scoperta. Lo sguardo attento e curioso di Marcovaldo è lo stesso che possiamo coltivare nei bambini, e insieme a loro.
Maria Montessori ci ricorda:
“Il bambino cammina non solo con le gambe, ma con gli occhi. Sono le cose interessanti che lo spingono in avanti.”
(La natura nell’educazione dell’infanzia, 1949)
Sta a noi, educatori, insegnanti, genitori, mantenere viva questa curiosità. È un compito pedagogico, prima ancora che didattico: alimentare il desiderio di osservare, toccare, annusare, interrogarsi. Una crepa nel muro da cui nasce un’erbaccia, un formicaio sul bordo di un marciapiede, le foglie che cambiano colore nei viali cittadini: la città è un ambiente educante, se impariamo a leggerla con occhi sensibili.
I giardini delle scuole come mediatori di esperienze
Anche gli spazi verdi urbani — e in particolare i giardini delle scuole dell’infanzia e dei nidi — rappresentano luoghi fondamentali per promuovere una relazione viva con l’ambiente. Monica Guerra (2017) sottolinea come questi spazi siano:
“Mediatori nell’apprendimento, come nella relazione (…) Non sono solo e non tanto luoghi ricreativi, ma luoghi di curiosità (…) un vero e proprio setting privilegiato per gli apprendimenti di bambini e adulti.”
Questo ci spinge a ripensare l’organizzazione degli spazi esterni scolastici non come aree residuali del tempo-gioco, ma come ambienti pedagogici complessi, progettati con intenzionalità, capaci di offrire stimoli, materiali naturali, occasioni per il fare e il pensare. È qui che si gioca il vero equilibrio tra indoor e outdoor education.
Molte interpretazioni di un equilibrio pedagogico
Quando parliamo di “equilibrio” tra dentro e fuori, non intendiamo solo un bilanciamento orario tra attività in aula e attività all’aperto. Parliamo di una visione educativa integrata, in cui l’ambiente — qualunque esso sia — viene pensato come co-costruttore di conoscenza. Ci sono molti modi di intendere questo equilibrio:
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come continuità metodologica, in cui le esperienze all’aperto non interrompono il percorso, ma lo arricchiscono;
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come fluidità degli spazi, in cui i confini tra interno ed esterno sono porosi e attraversabili, anche dal punto di vista simbolico e relazionale;
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come pari dignità educativa, dove l’apprendimento non ha una gerarchia tra ciò che avviene tra i banchi e ciò che accade in giardino, nel parco, per strada;
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come equilibrio tra strutturato e spontaneo, tra l’attività guidata e quella lasciata alla libera esplorazione.
Educare alla meraviglia urbana
Come Marcovaldo, i bambini ci insegnano a vedere. È compito dell’educazione non spegnere quello sguardo, ma coltivarlo come una lente preziosa per leggere il mondo, anche quello urbano. Educare all’aperto non è solo “portare fuori”, ma riconoscere il valore formativo dell’esserci: essere dentro al mondo, in ascolto, in relazione.
In questa visione, la città non è un ostacolo ma una risorsa educativa, un luogo dove il verde e il grigio si intrecciano, dove l’imprevisto e l’ordinario possono generare apprendimento.