Non è un tic, è stimming.
C’è un bambino che si morde la manica. Un altro che corre in tondo, lo stesso giro, cento volte. C’è chi batte le mani, chi si dondola piano avanti e indietro, chi si perde a fissare una luce, una trama, un angolo del muro.
Questi comportamenti, così quotidiani nei servizi per l’infanzia, spesso mettono in crisi lo sguardo dell’adulto. “È un vizio? È agitazione? È un problema comportamentale?”. Troppe volte, la risposta istintiva è: fermare il gesto, contenerlo, disinnescarlo.
E invece no.
Quel gesto, quel movimento, parla. E se impariamo ad ascoltarlo, ci racconta di molto più di quanto crediamo.
Lo stimming non è patologico
La letteratura scientifica definisce lo stimming (abbreviazione di “self-stimulatory behavior”) come un insieme di movimenti ripetitivi, suoni o comportamenti che alcune persone — soprattutto bambini, in particolare neurodivergenti — mettono in atto per regolare gli stimoli sensoriali e le emozioni.
Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), questi comportamenti sono particolarmente comuni nei disturbi del neurosviluppo, ma numerose ricerche recenti sottolineano che lo stimming non è necessariamente patologico. È spesso una forma di coping, una risposta naturale del sistema nervoso per autoregolarsi.
Nel loro studio qualitativo condotto su persone autistiche, Kapp e colleghi evidenziano come lo stimming venga vissuto come fondamentale per la gestione dello stress, della sovrastimolazione e dell’ansia. Più che un “problema da correggere”, è uno strumento di sopravvivenza emotiva e sensoriale.
Uno sviluppo che parte dal corpo
Ma non dobbiamo pensare allo stimming come qualcosa che “appartiene” solo all’autismo. È parte, a pieno titolo, dello sviluppo tipico.
Nei primi anni di vita, la regolazione delle emozioni passa principalmente per il corpo: movimenti ritmici, vocalizzazioni, posture autorassicuranti. Come ricorda anche Tronick nel suo celebre modello della “Still-Face Experiment”, il neonato impara a regolare le proprie emozioni grazie a un dialogo continuo tra il suo corpo e quello dell’adulto. Un dialogo fatto di sguardi, pause, gesti, rispecchiamenti.
E quando questo dialogo non è disponibile o è incerto, il bambino costruisce da sé strategie per rimanere in equilibrio. Lo stimming è una di queste strategie. È un gesto che dice: “Ho bisogno di fermarmi”, “Ho bisogno di filtrare ciò che sento”, “Mi sto aiutando da solo”.
Non spezzare il gesto. Leggilo.
Intervenire per bloccare uno di questi comportamenti, senza comprenderne la funzione, rischia di produrre un danno: interrompe un processo di autoregolazione e lo sostituisce con un controllo esterno. E il messaggio implicito che arriva al bambino è: “quello che fai è sbagliato”. Ancora peggio: “quello che sei è sbagliato”.
Lo sguardo educativo, invece, ha il compito opposto: leggere senza giudicare, accogliere senza forzare, accompagnare senza sostituirsi.
Significa costruire contesti in cui i gesti corporei dei bambini — anche quelli che non capiamo subito — non vengano zittiti, ma osservati con cura, affiancati con rispetto, sostenuti con competenza.
Perché l’autoregolazione è un processo, non un obiettivo
Come ci ricorda Susan Kaiser Greenland, autrice e ricercatrice nel campo della mindfulness per l’infanzia, l’autoregolazione non è qualcosa che “si insegna” come una tecnica, ma un processo che si sviluppa nel tempo, attraverso relazioni sicure, ambienti coerenti e adulti capaci di leggere il non detto.
In quest’ottica, stimming e autoregolazione non sono separati: sono due facce della stessa realtà. Il gesto ripetitivo non è il problema. È la soluzione che il bambino ha trovato per sostenersi.
Il nostro compito non è cancellarlo, ma capirlo, affiancarlo e — quando serve — ampliare le possibilità del bambino, senza mai invalidare ciò che ha già costruito per sé.
E se invece fosse un invito a rallentare?
Forse quel bambino che corre in cerchio non ha bisogno di essere fermato. Forse ha bisogno di spazio. Di tempo. Di un adulto che non lo interrompa, ma lo guardi e gli dica, anche senza parole: “Va bene così. Ti vedo. Sono qui.”
Allora tutto cambia.
La stanza diventa un luogo dove il corpo può parlare senza paura, dove ogni gesto ha diritto di esistere. Dove anche l’adulto — smettendo di voler correggere — comincia finalmente ad ascoltare.

PER SAPERNE DI PIU’:
STIMMING E AUTOREGOLAZIONE EMOTIVA – LEGGERE I SEGNALI, ACCOMPAGNARE I BISOGNI
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