“Parlare di lentezza appare come una grande sfida, oggi che il vincente è colui che accelera, che supera e che procede velocissimo nella logica di raggiungere più obiettivi possibili. Ma a quale prezzo?
I bambini di oggi vivono spazi e tempi che non appartengono loro, nella continua frenesia dei tempi degli adulti con relativi impegni extrascolastici e non a caso abbiamo sempre più bambini che soffrono di disturbi dell’attenzione, di stati d’ansia, di disturbi del sonno in età scolare, rivolgendomi qui agli educatori ma non solo vorrei condividere un prezioso libro: “La pedagogia della lumaca” (Gianfranco Zavalloni 2008), un inno alla lentezza, alla consapevolezza che rallentare è necessario per godere le nostre azioni, le più semplici, le più naturali. Ci hanno convinto che soltanto un tempo produttivo ha valore, invece J.J. Rousseau diceva che “la regola più importante dell’educazione non è di guadagnare tempo, ma di perderne” lasciando al bambino il tempo per conoscersi, per scoprirsi attraverso il gioco.
Quando mettiamo fretta ad un bambino dicendogli di sbrigarsi, stiamo violando il suo diritto a fare secondo i suoi tempi di apprendimento, togliendogli  il tempo per imparare, un tempo che è solo suo, che gli appartiene.
La scuola non può soltanto pensare di riempire i bambini di nozioni, che sono sicuramente importanti, ma va insegnato loro, o meglio educato, il pensiero, ovvero come si pensa e trovare soluzione ai problemi, anche di tipo relazionali.”

Occorre fermarsi, e prendersi il tempo necessario per coltivare quella capacità di abitare bene nel mondo, che non viene da sé semplicemente con il passare degli anni. Fermarsi, rallentare e magari anche ritirarsi per un po’ è necessario proprio per fare dei passi avanti nella maturità. Chi non si ferma mai, vive nell’illusione di avanzare più rapidamente, ma in realtà finisce per correre sì sempre più velocemente, ma in cerchio, spesso trovandosi a replicare continuamente gli stessi modi di fare e di pensare: è l’esperienza dell’“eterno ritorno dell’uguale” o, più semplicemente, del prevalere della forza dell’abitudine. Questa sosta imposta chiede lavoro e discesa in profondità, si è un tempo di riposo, un tempo di distensione , ma diventa feconda solo se la si attraversa come una opportunità di andare alla sostanza. Il tempo della “convalescenza” dopo la caduta finisce sprecato se lo si impiega solo per prendere le distanze dalla difficoltà, confidando di ricominciare come prima e magari di dimenticare. Occorre trovare modi per scendere verso le radici di se stessi, per comprendere da dove nascano abitudini, modi di relazionarsi e di pensare, progetti di cambiamento, desideri che proiettano nel futuro .Questo tempo ci offre la possibilità di imparare a SO-STARE

La sosta è un atto volontario che si prevede durante il viaggio per riposarsi, rigenerarsi e per osservare l’ambiente attorno. Non è una pausa sospesa, non è un obbligo di fare o non fare, non è un blocco, non è uno stop. Se ti accade di fermarti, magari anche contro la tua volontà, proprio come stiamo vivendo in questi giorni che si protraggono, hai l’opportunità di dare un titolo a quella interruzione e ho scelto di chiamarla sosta anche perché sostare significa anche IO SO STARE. Io so stare con il mio attrito, con le
avversità, con i cali energetici, con le mie imperfezioni, con la mia fatica di ESSERE genitore, marito, moglie, compagno, figlio … senza vergognarmi, senza nascondere il personale desiderio di volersi ricavare degli spazi per sé, senza continui confronti con chi solo apparentemente a tutto sotto controllo in quelle routine che non concedono spazio per scendere dentro le relazioni. Possiamo cambiare punto di vista, e anziché considerarlo un tempo sospeso considerarlo come un’attesa, affinché diventi qualcosa di costruttivo e generativo ricco di nuovi possibili significati significati.
L’attesa è vissuta molte volte come una perdita di tempo, come un elemento incomodo da affrontare prima che si verifichi altro, e spesso cerchiamo di ingannare quel tempo, di distrarci per arrivare oltre al vero appuntamento, abbiamo bisogno di ridurre al minimo il
disagio dell’attendere.

Eppure l’attesa ha un proprio valore. Il verbo attendere deriva dal latino ad-tendere, “distendersi, aspirare, mirare”. L’attesa implica una tensione verso qualcosa.

L’attesa possiede un grande valore educativo educativo e non solo per i bambini!!!

L’attesa è un principio pedagogico fondamentale, nell’attesa si impara a guardare con attenzione, a scoprire i propri talenti, a valorizzare ciò che si ha e che si è.
L’attesa ci aiuta a:,
1. chiederci quale valore ciò che desideriamo ha veramente, che senso abbia per noi, quali eventuali sacrifici siamo disposti a fare per raggiungerlo/ottenerlo. Con l’attesa soffermiamo lo sguardo. Siamo stimolati a riflettere e interrogarci.
2. scoprir-si: l’attesa ci permette di vivere in uno spazio/tempo molto singolare, “sospeso” tra ciò che è già e ciò che non è ancora. Attendere è mettersi in ascolto di se stessi. Con pazienza, tempo, amore per sé.
3. riconoscersi capaci di trovare soluzioni alternative a ciò che, almeno temporaneamente, ci manca. Proprio perché attendere implica una tensione verso qualcosa, solitamente ciò che si vuole è ciò che non abbiamo, e nel desiderare ciò che manca si attivano capacità volte al raggiungimento dello scopo. L’attesa permette lo sviluppo di certe competenze, anche molto pratiche, come ad esempio il problem solving.
4. a darsi tempo: l’attesa è un tempo necessario, a volte fisiologico diverso per ognuno di noi).
5. imparare a desiderare: attendere e desiderare sono due azioni strettamente collegate, siamo stati abituati fino a un mese fa ad andare veloce e si passava talvolta frettolosamente da un desiderio all’altro, ma perché un desiderio possa essere soddisfatto serve tempo, e la non soddisfazione continua genera frustrazione,

  • Possiamo imparare insieme ai nostri figli ad apprendere il senso dell’attesa:
    certamente ma per prima cosa dando per primi, come adulti il buon esempio: se manifestiamo intolleranza nell’aspettare è facile che il bambino acquisisca lo stesso schema di comportamento, ed imparando noi stessi a LEGITTIMARCI nel prenderci del tempo e degli spazi per ascoltarci senza sentirci genitori trascuranti o inadeguati,
  • recuperando, come suggerisce Gianfranco Zavalloni in La pedagogia della lumaca, il valore della lentezza, del fermarsi per assaporare, del rallentare per vedere particolari che altrimenti sfuggono all’occhio e alla mente, ai sensi tutti,
  • facendo insieme esperienze di attesa: seminare, coltivare, osservare la natura sono tutte attività molto semplici e altrettanto significative per mettere il bambino e noi in contatto con ciò che riguarda i nostri ritmi naturali, fatti anche di tempi apparentemente “dormienti”;
    proponendo giochi o ripetendo esperienze che richiedano l’aspettare il proprio turno: via libera a tutti i giochi da tavolo o di squadra che abbiano questa caratteristica;
    • dimostrando al bambino il risultato raggiunto grazie all’attendere: una torta sbirciata in forno e attesa nella cottura mentre la casa di riempie del suo profumo,
    leggendo libri per bambini che parlino di quest’argomento perché sappiamo che le storie possono aiutarci Spesso sono le favole con la loro morale a ispirare i pensieri pedagogici. E’ il caso della Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza di Luis Sepùlveda che, con molta semplicità,  ci comunica che, per accogliere i dettagli che la vita ci offre, serve proseguire con lentezza
    • dicendo i no necessari, non dobbiamo concedere tutto e subito. Il no è un limite con cui il bambino impara gradualmente a fare i conti e ad aspettare che il proprio desiderio sia soddisfatto.
    Imparare ad aspettare è qualcosa che si impara giorno dopo giorno, fin da piccoli, ma che non ha limiti di età per essere appreso. Il valore dell’attesa maturerà su questa capacità, piano piano, con il tempo. Come un seme che cresce se coltivato.

“Perdere” tempo a parlare rappresenta la premessa indispensabile per un corretta relazione educativa.
Buona sosta

dott.ssa Giovanna Parimbelli

PER SAPERNE DI PIU’:

LA PEDAGOGIA DELLO STUPORE: LA SCATOLA MAGICA

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